Lucia Bormida è stata Chief Public Affairs & Communication Officer del Gruppo ERG, con responsabilità delle aree Institutional Affairs, Corporate Social Responsibility e Communication. E’ entrata in ERG nel 1996, dove ha ricoperto diverse posizioni: Responsabile Relazioni Istituzionali, Comunicazione, HSE (Health, Safety & Environmental), Risk Manager, Responsabile Ambientale della Raffineria ERG di Priolo Gargallo (Siracusa), Responsabile Qualità e Ambiente nella Direzione Relazioni Istituzionali e Tecniche. Inoltre, è stata Vice-Presidente di Elettricità Futura e di ANEV.
E’ laureata in ingegneria chimica presso l’Università La Sapienza di Roma.
Partendo del tema della formazione, nonostante dati confermino una maggiore partecipazione femminile agli studi universitari, resta evidente una forte sotto-rappresentazione delle donne nelle facoltà scientifiche, di ingegneria e statistica. Alla luce del suo percorso di studi (laurea in ingegneria chimica) quali potrebbero essere, secondo lei, le soluzioni in grado di abbattere le barriere di genere soprattutto nei momenti di scelta dei percorsi formativi?
È un problema di carattere culturale, e i cambiamenti di cultura avvengono se si comincia cambiando i comportamenti, anche quelli apparentemente più elementari. È a partire dall’ambito familiare che va affrontato il tema, poi all’interno della scuola e quindi nelle organizzazioni aziendali. È importante che la sensibilizzazione sul tema delle differenze di genere e delle pari opportunità avvenga nelle scuole di tutti i livelli, con il coinvolgimento di studenti, docenti ed anche dei genitori. Ed è all’interno della scuola che dovrebbe iniziare il processo di orientamento professionale che aiuti ad abbattere queste barriere.
Sono molto importanti le parole con cui ci si rivolge ai bambini e alle bambine e i modelli di riferimento proposti, che spesso risultano diversi tra generi, fino dalla più tenera età; senza volere generalizzare o banalizzare la questione, nella mia esperienza mi è capitato spesso di sentire genitori invitare le bambine a essere carine e gentili e i bambini ad essere forti e coraggiosi, e se ci pensiamo anche i giochi sono ancora differenziati per genere seguendo questo schema. Un grande catalizzatore del cambiamento è a mio avviso rappresentato dalla comunicazione e divulgazione di modelli positivi: storie di donne che hanno raggiunto posizioni di grande responsabilità in tutte le aree, comprese quelle tecnico-scientifiche. Parallelamente credo che sia importante promuovere la visione di una famiglia dove ci si sostiene a vicenda e dove la realizzazione professionale di entrambi i genitori è un punto fondamentale per l’equilibrio familiare e si superano alcuni stereotipi di genere.
Il settore energetico sembra ricalcare le differenze già presenti nel modello universitario: la prevalenza di uomini all’interno del mondo dell’energia sarebbe giustificata dalla richiesta di competenze per lo più di tipo tecnico. Quali difficoltà può riscontrare una donna in un contesto prettamente maschile? Quali strumenti potrebbero consentire una maggiore rappresentazione femminile all’interno del nostro settore?
La maggiore presenza di uomini all’interno del mondo dell’energia è storicamente legata alla prevalenza del lavoro di stabilimento che per diverse posizioni, in passato, poteva essere molto impegnativo anche dal punto di vista fisico. In realtà oggi con l’automazione di molte attività e l’evoluzione tecnologica questo tema in molti casi è superato, inoltre esistono molte figure professionali, alcune anche di nascita recente, dalle funzioni di supervisione e controllo a quelle di data analytics, energy management, ecc. per le quali il problema della “fisicità” del lavoro non si pone. Nel corso della mia carriera ho avuto l’opportunità di lavorare in una raffineria in Sicilia e devo dire che è stata una esperienza molto formativa e positiva sia per me che per le persone con cui ho avuto modo di lavorare che, dopo una scontata fase di diffidenza iniziale, hanno avuto modo di apprezzare il modo diverso di affrontare i problemi e di lavorare insieme.
Ma qui torniamo alla risposta di prima: occorre sfatare il mito che questo tipo di competenza sia più confacente al mondo maschile. È di nuovo un tema di cultura che va affrontato alla radice. E se si va in profondità possono emergere evidenze anche inaspettate. In ERG per esempio è stata recentemente fatta una survey sul tema della Diversity & Inclusion ed uno degli aspetti emersi è che gli uomini esprimono una leggera preferenza a lavorare con colleghe donne e non vedono problemi ad averle come capo. Questo è sicuramente un aspetto positivo che va coltivato. È fondamentale inoltre lavorare fino dalla fase di selezione per inserire un numero equilibrato di figure maschili e femminili, e seguirne lo sviluppo nelle diverse fasi della vita personale e aziendale, fornendo un supporto anche attraverso corsi di formazione ed empowerment e strumenti di welfare che consentano di affrontare adeguatamente i momenti di cambiamento, come ad esempio la nascita di un bambino.
Nel progettare i piani di formazione poi è importante che ci siano pari opportunità di apprendimento, affinché si possa stimolare l’espressione del talento senza discriminazioni. E così anche nel progettare i percorsi di carriera: il talento va messo alla prova, saranno i risultati a decretare poi chi è meritevole di crescere e in quale tipo di percorso professionale. In conclusione, è vero che i cambiamenti culturali richiedono tempo, ma per innescarli ed accelerarli bisogna mettere in campo azioni concrete.
Anche in questo periodo si susseguono giustamente iniziative per invocare una maggiore attenzione al tema dell’equità di genere e del coinvolgimento delle donne nei piani di ripresa post Covid. Molto spesso si nota però che ad avanzare proposte siano solo le dirette interessate, come se queste tematiche riguardassero solo l’universo femminile. Quanto è importante, secondo lei, una partecipazione piena e bilaterale ad iniziative in sostegno dell’equità di genere?
Credo che al giorno d’oggi i vantaggi legati ad una cultura organizzativa che includa l’elemento della “diversity” stiano sempre più emergendo.
Secondo l’International Labour Organization (ILO), le imprese sensibili alla parità di genere hanno più probabilità di migliorare le proprie performance. L’ILO infatti nel suo secondo rapporto globale, intitolato “Women in Business and Management: The business case for change”, che ha analizzato circa 13mila imprese in 70 Paesi, ha evidenziato che oltre la metà delle aziende con un buon livello di parità di genere nel loro organico e nelle posizioni apicali ha risultati di business migliori in termini di redditività, di produttività e di livello di innovazione. Parallelamente ha registrato una maggiore capacità di attrarre talenti e migliorato la reputazione dell’azienda.
Sempre secondo la survey già citata, molti ritengono che un ambiente di lavoro più inclusivo rispetto alle differenze di genere sia maggiormente efficace.
Gli uomini hanno espresso la preferenza a lavorare con le colleghe donne, perché riconoscono il valore di alcune caratteristiche e attitudini tipicamente femminili, come capacità analitica e intuizione, spesso complementari aquelle maschili.
L’universo maschile a mio parere è sufficientemente maturo per riconoscere l’importanza delle iniziative volte a favorire la parità di genere e a supportarle appieno. Al tempo stesso l’universo femminile dovrebbe agire in modo più compatto nel sostenere queste iniziative, unendo singole esigenze ed esperienze per raggiungere in modo più efficace gli obiettivi comuni prefissati.
Nel corso della sua carriera professionale è riuscita a ricoprire ruoli di responsabilità all’interno di organizzazioni aziendali e associative. Il tema della leadership è attualmente uno dei temi di maggior dibattito, soprattutto in contesti in forte trasformazione. Esistono secondo lei tratti differenti tra leader maschile e femminile? Se si, quali aspetti della leadership femminile potrebbero rappresentare un valore aggiunto all’interno delle organizzazioni e perché non sono ancora sufficientemente valorizzati?
La leadership è fatta di tanti aspetti. Un buon leader deve saper mettere a disposizione le migliori risorse, essere autorevole, proattivo, favorire il lavoro di squadra, condividere idee e approcci, stimolare e favorire la crescita delle persone, deve saper decidere ed assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Ci sono alcune caratteristiche legate al genere: agli uomini ad esempio viene attribuita una più forte capacità decisionale, mentre alle donne quella di intuire con anticipo i problemi e di essere più flessibili e innovative.
Credo che proprio nella flessibilità e quindi nella maggiore capacità di adattarsi a nuovi ruoli e nuovi contesti risiedano le caratteristiche vincenti della leadership femminile. E vista la rapidità con la quale cambia il mondo attorno a noi e le grandi sfide che ci aspettano, sarebbe un grave errore non utilizzarle: non sarebbe solo l’universo femminile a perdere una grande opportunità!
Per concludere, alla luce della sua esperienza personale e professionale, quali consigli si sentirebbe di dare alle future generazioni di lavoratrici e lavoratori, affinché vi sia finalmente equità di genere in contesti lavorativi e non solo?
Direi loro innanzitutto di adottare una prospettiva lungimirante e indipendente e di guardare alla Diversity – in ogni sua forma – come un valore aggiunto, fonte di crescita e arricchimento.
Suggerirei poi di vivere il contesto aziendale con rispetto ed empatia, poiché ognuno di noi indistintamente ha un’influenza significativa sulla qualità delle relazioni e dell’ambiente in cui lavora, sia attraverso il proprio comportamento che attraverso il linguaggio che sceglie di adottare. Alle donne raccomanderei di imparare a chiedere aiuto sia a livello familiare che lavorativo e non fare sempre tutto sole. Ma sono certa che le generazioni future saranno pronte a prendere parte ad un contesto di diversità all’interno dell’azienda, specchio della società in cui vivono, e a riconoscere quanto possa contribuire a migliorarci. Senza dimenticare che un buon esempio in tal senso lo possono e lo devono dare anche le generazioni ”attuali”.
E’ VERO CHE I CAMBIAMENTI CULTURALI RICHIEDONO TEMPO, MA PER INNESCARLI ED ACCELERARLI BISOGNA METTERE IN CAMPO AZIONI CONCRETE.
Lucia Bormida